Qualche detrattore ci rimprovera che siamo cresciuti, ci siamo formati, “siamo diventati grandi” in un periodo nel quale non era di moda parlare di “patria” e di “tricolore”. Riverberi della contestazione, della fuoriuscita dalla dittatura e da tutto quello che a molti di noi, sbagliando, poteva apparire come ritorno al passato.
Tutto questo è – nel suo clamoroso errore – storicamente vero, ma non determinante, perché il fatto di non esserci innamorati di queste definizioni non ci ha impedito di partecipare, tutti, in modo più o meno fattivo alla crescita di questo Paese. Con i nostri studi, il nostro lavoro, le nostre battaglie politiche, le nostre iniziative nel volontariato e nel sociale. Come dire, fatti anziché parole.
Forse, allora, la domanda che dovremmo porre ai nostri detrattori è questa: secondo voi, oggi – in un Paese nel quale ci tocca assistere al continuo calpestio delle regole democratiche da parte di un nugolo di politicanti da strapazzo ed affaristi di professione – è più lecito ed utile rifarsi sempre a luoghi comuni ed errori del passato o osservare il presente ?
E’ più utile censurare una condotta che solo nominalmente era (ed è) sbagliata o condannare e rispedire al mittente i reiterati attacchi ai valori costituzionali del Paese da parte di chi siede persino in Parlamento?
Credo che la risposta venga, naturale, dalle cronache. Che forse vale la pena di sintetizzare un attimo, almeno nei passaggi cruciali.
Nell’ormai imminente 17 marzo l’Italia si appresta a festeggiare i suoi primi 150 anni di unità. In ogni altro Paese democratico e civile, tutte le forze sane si sarebbero strette, anche per un solo giorno, attorno ad un simbolo, per confermare al mondo intero la condivisione dei valori fondanti del proprio ordinamento (immaginiamo una ricorrenza analoga in Francia o negli Usa).
Ci saremmo aspettati che, tutti, seppur nel rispetto delle diverse posizioni, si fermassero a ricordare, per esempio, le parole di Piero Calamandrei, Luigi Sturzo, Pietro Nenni o, ancora, di Aldo Moro, Enrico Berlinguer, Giorgio Almirante, tanto per citare alcuni italiani davvero illustri, che nulla hanno a che spartire con gli affaristi di oggi.
Ci saremmo aspettati che, unanime, si alzasse la voce realmente patriottica a difesa dell’Italia. E invece, cosa è successo ? Che nell’imminenza di una così importante ricorrenza, si sviluppa un dibattito, “di rara levatura”, sugli effetti economici della festività una tantum, sull’opportunità di tenere chiusi uffici pubblici e scuole e sull’esposizione del tricolore. Un dibattito con tanto di contentino finale: scuole ed uffici chiusi, ma effetti economici recuperati su un’altra festività soppressa. Così chi non voleva (e non vuole) questa festa potrà dire alle sue truppe cammellate di averla concessa, ma senza avere scucito un euro.
Una conquista davvero da libri di storia che, a dispetto dell’inusitato zelo di quattro bottegai della politica con la p minuscola, non sarà in grado di intaccare il valore di questa ricorrenza. Che è e rimane di tutti. Nessuno escluso e per la quale abbiamo il dovere di esporre il Tricolore. Sui balconi, alle finestre, nelle strade. Perché un segnale va dato, anche ai tanti italiani sparsi per il mondo.
Solo così potremo distinguerci da una minoranza di ignoranti demagoghi, ai quali l’unica raccomandazione che possiamo rivolgere è quella di Benigni: “studiate”. Ovviamente, se siete in grado.
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